"Ho alzato la voce, non in modo da poter urlare, ma in modo da poter far sentire quelli senza voce... Non possiamo avere successo quando metà di noi rimane indietro." Malala Yousafzai

“Donne nella Leadership: raggiungere un Futuro Equo in un mondo Covid-19”(tema delle NAZIONI UNITE 8 marzo 2023)

Con questo tema si vuole far luce sugli sforzi enormi delle donne del mondo che si impegnano per un futuro più equo e una ripresa dalla pandemia che ha messo in evidenza tanto i loro contributi, quanto le difficoltà sproporzionate a cui vanno incontro.

Da un lato, infatti, le donne leader hanno dimostrato le proprie capacità, conoscenze, ed esperienze per combattere la crisi. Per esempio, i paesi che hanno avuto più successo nell’arginare la pandemia, sono guidati da donne. Dall’altro invece, oltre le persistenti barriere sociali alla leadership femminile, le donne stanno sperimentando un aumento della violenza di genere, disoccupazione e povertà.

Per sostenere i diritti delle donne e sfruttare a pieno il loro potenziale è assolutamente necessario integrare le loro prospettive nell’elaborazione e nella messa in atto delle politiche e dei programmi in tutte le fasi della risposta alla pandemia e della ripresa. I fronti su cui portare avanti la battaglia sono davvero tanti, primo tra tutti la violenza contro le donne, ma VOGLIAMO GUARDARE al presente per progettare il futuro.

Occorre rimboccarsi le maniche e lottare per i diritti tutte insieme, nei Paesi del Nord del mondo come in quelli a medio e basso reddito. Esattamente come hanno fatto le femministe prima di noi. La storia ci insegna che quando le donne dispongono delle conoscenze e delle competenze necessarie per essere coinvolte, hanno il potere di plasmare un futuro migliore per se stesse, le loro famiglie e le loro comunità.

Anche in questo il commercio equo e solidale fa la sua parte ed è per noi la più importante nell’impegno per la cooperazione internazionale: garantire il rispetto delle lavoratrici e dei lavoratori, promuovendo al contempo anche la cultura della parità di genere, attraverso programmi di formazione e sensibilizzazione. L’altissima partecipazione femminile nelle organizzazioni del commercio equo e solidale fa delle donne le protagoniste di incredibili storie di cambiamento.

Ad alcune di queste vogliamo simbolicamente dedicare l’8 marzo 2023 (esperienze tratte dal ALTRECONOMIE di Beatrice DE Blasi ) Nina Vjukam ha 26 anni ed è la coordinatrice delle produttrici di arachidi della comunità Shuar di Tsentsakentsa, in Amazzonia ecuadoriana. Nina scherza, sorride sempre e fa progetti. Ci racconta che il fulcro della cultura tradizionale Shuar e Achuar è la famiglia estesa: un uomo, le sue mogli e i loro figli, cui possono aggiungersi i genitori dei coniugi, i mariti delle figlie e i bambini orfani. Fino a pochi anni fa in Amazzonia si praticava la poligamia sororale.

La divisione del lavoro è ancora oggi determinata dal sesso: le donne coltivano, preparano gli alimenti, accudiscono i figli e producono ceramiche e collanine in fibra e semi destinate al circuito del commercio equo e solidale. Gli uomini cacciano e pescano, possono avere il ruolo di sciamani, producono oggetti di legno e cesti, tessono e costruiscono le case.

In Ecuador il codice civile permetteva il matrimonio a partire dai 12 anni per le bambine e dai 14 per i bambini: solo nel 2015, grazie al movimento delle donne, si è ottenuta una riforma che ha finalmente dichiarato l’illegalità del matrimonio infantile e ha innalzato l’età minima a 18 anni per entrambi i sessi. “La cultura indigena della regione è ancora piuttosto machista”, dice Nina, ma finalmente le donne detengono il controllo del denaro guadagnato con la vendita nel circuito del commercio equo delle arachidi e degli oli essenziali ottenuti da specie autoctone come l’ocotea quixos, una sorta di “cannella amazzonica”, e da specie introdotte molti secoli fa ma ormai presenti nella tradizione etnobotanica delle popolazioni Shuar e Achuar, tra cui l’olio di zenzero, curcuma, hierba Luisa e agrumi.

Il denaro guadagnato viene reinvestito negli studi dei figli, bambine comprese: “È questa la nostra vittoria”. la storia di Ela, pioniera del commercio equo e solidale. Ha creato dal nulla la prima banca di microcredito al mondo riservata alle donne ed ha fondato il Self employed women’s association (Sewa), il primo sindacato di genere per le lavoratrici indiane precarie e analfabete. Progetti che sembravano impossibili: eppure lei c’è riuscita, ben 50 anni fa. Oggi Ela Bhatt, che ha da poco compiuto 88 anni, è una donna gentile dalla volontà d’acciaio, ancora attiva nel testimoniare a favore dei diritti delle donne nel mondo.

Nel 1972 Ela ha fondato come detto il Self employed women’s association, dove selfemployed non significa “libera professionista” bensì “autonoma e precaria” ed è negli slum di Ahmedabad (grande città dello Stato del Gujarat, nell’Ovest dell’India) che va a cercare le donne: una ad una. Ma non basta. Ela sa che le donne hanno un grande problema:sono ricattabili. Sono per ben tre volte ricattabili: perché povere, perché analfabete, perché donne. Un giorno, parlando con una raccoglitrice di stracci, Ela ha un’intuizione potente, grazie a una domanda: “Ma perché con Sewa non facciamo una nostra banca? Siamo povere, ma siamo così tante!”. Si è messa al lavoro e in soli sei mesi, emettendo azioni da dieci rupie l’una, Ela ha raccolto il capitale necessario per fondare la banca: è nato così il microcredito, con l’obiettivo di sottrarre le donne ai ricatti degli strozzini. Le sue socie? Quindici donne, tutte analfabete, tanto che per poter firmare un atto costitutivo valido, Ela ha dovuto portarsele tutte a casa sua, la sera prima, per farle esercitare fino a notte fonda affinché imparassero a tracciare a memoria i pochi segni del loro nome. È una storia che emoziona profondamente: è nata così, nel 1974, la prima banca al mondo di sole donne. La prima banca che considerava i poverissimi come clienti affidabili e desiderabili e che oggi è un invito a tornare a mettere al centro le storie di donne che fanno sentire la propria voce per rivendicare i diritti calpestati.

G. La Rocca